Delitto Serena Mollicone, depositate le motivazioni della sentenza d’appello: “Nessuna prova della colpevolezza dei Mottola”
Roma. A novanta giorni dall’assoluzione in appello degli imputati del delitto di Serena Mollicone, la giovane uccisa ad Arce nel giugno 2001, sono state depositate le motivazioni della sentenza. L’assoluzione in secondo grado, emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma lo scorso 12 luglio, aveva confermato quella sancita il 15 luglio 2022 dalla Corte d’Assiste di Cassino
Allora i giudici avevano infatti assolto il maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria “per non aver commesso il fatto” e, “perché il fatto non sussiste”, i carabinieri Vincenzo Quatrale (accusato di concorso nell’omicidio) e Francesco Suprano (accusato di favoreggiamento), decisione appunto confermata in appello.
Secondo l’accusa la vittima sarebbe stata aggredita proprio all’interno della caserma dei carabinieri di Arce e in seguito imbavagliata e abbandonata nel bosco in cui sarebbe stata rivenuta senza vita. Nelle cinquantanove pagine di motivazioni, i magistrati della Corte d’Assise d’Appello di Roma spiegano oggi che, nei confronti famiglia Mottola, l’impianto accusatorio si sarebbe rivelato privo di ogni consistenza.
“Il convincimento dei giudici non può e non deve fondarsi sui sondaggi o sugli umori popolari e non può escludersi che le prove, invece, ci siano, e che questo Collegio non abbia saputo valorizzarle e questo lo dirà, eventualmente, la Suprema Corte”, si legge nel testo depositato. Che precisa come “questo Collegio ha ‘largheggiato’ nell’applicare il disposto dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p.[1], ma deve constatare che la rinnovata istruzione dibattimentale ha lasciato sostanzialmente immutato il quadro probatorio. In tale situazione, non può che confermarsi l’incertezza e la contraddittorietà degli elementi per affermare la responsabilità degli imputati Mottola.”
La dinamica del delitto
“Non vi è certezza che la barbara uccisione della povera Serena sia avvenuta nella caserma dei Carabinieri di Arce”, affermano i giudici, “non è certo che la ragazza sia entrata in quel luogo, non è certo che sia stata scagliata contro la porta, ancora più incerto è che la seconda parte dell’aggressione alla sua persona (quella, letale, dell’imbavagliamento e dell’asfissia) sia avvenuta nella stessa Stazione.”
“Io so”
La Corte “ritiene di non avere le prove della colpevolezza degli odierni imputati e sa che una sentenza di colpevolezza sarebbe costruita su fondamenta instabili” e, citando un noto articolo pubblicato da Pier Paolo Pasolini il 14 novembre 1974 sul Correre della Sera, prosegue che “non può albergare la polemica frase (scritta, peraltro, cinquant’anni fa, in un articolo di analisi storico-politica, non giudiziaria) di un noto intellettuale: ‘Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.’”
Il movente
Manca la prova del movente, definito “evanescente” e il “compendio probatorio complessivamente insufficiente e contraddittorio, impedisce di individuare gli imputati Mottola, o alcuno di loro, quali responsabili dell’omicidio di Serena Mollicone.”
Asseriti depistaggi e “storture” investigative
“Tutti gli appellanti si sono soffermati sui comportamenti tenuti dal maresciallo Mottola prima e al di fuori della sede processuale, attribuendogli veri e propri atti di depistaggio. Va subito detto che, ad alcune ‘storture’, avvenute nel corso delle indagini, tale imputato non ha affatto contribuito”, considerano i giudici.
“L’errore di alcune cifre del numero telefonico del figlio Marco in sede di richiesta dei tabulati telefonici è una defaillance verificatasi quando le indagini erano svolte dalla Polizia”, precisano. Aggiungendo che “il ‘prelevamento’ di Guglielmo Mollicone (percepito come atto volto a seminare sospetti di un delitto maturato in ambito familiare) dalla chiesa in cui si stava svolgendo una veglia funebre per Serena è stato disposto dal Comando provinciale dei Carabinieri su input della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cassino.”
Ancora: “Non vi è poi alcuna prova, neanche indiziaria, che il telefono cellulare di Serena (ritrovato nella sua abitazione a seguito dell’ennesimo sopralluogo, dopo precedenti, accurate, negative, perquisizioni) sia stato introdotto dal Maresciallo o su sua istigazione.”
Si precisa inoltre che “la Corte di primo grado non ha affatto evitato di confrontarsi con le disarmonie dei racconti degli imputati e con gli aspetti asseritamente o realmente distonici nella conduzione delle indagini. Rimangono, comunque, forti sospetti che comportamenti decisamente ‘irregolari’ (in primis le mancate verbalizzazioni), stigmatizzati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cassino e dai vertici dell’Arma in vista del trasferimento del sottufficiale siano stati qualcosa di più e di diverso di condotte professionalmente maldestre.”
Il commento
Le motivazioni dell’assoluzione in appello “riconoscono la nullità, l’inconsistenza e la totale incertezza dell’impianto accusatorio e di fatto danno pienamente ragione al lavoro della difesa degli imputati e della difesa dei Mottola, sia alle nostre fortissime e giuste critiche all’impianto accusatorio ed alla metodologia delle indagini, sia al nostro lavoro del tipo analitico, logico-investigativo, forense, criminalistico, criminologico e di diritto.”
È quanto dichiarato, in una nota, dal criminologo Carmelo Lavorino, coordinatore del pool della difesa dei Mottola.
“La sentenza ha dato ragione alla difesa degli imputati che Serena non è entrata in caserma per andare da Marco Mottola, che la porta non è l’arma del delitto, che la prova scientifica portata dall’accusa né è prova e né è scientifica, che contro gli imputati vi sono stati sospetti basati sul nulla, che gli indizi di sono sciolti come neve al sole. Un affettuoso pensiero alla povera Serena Mollicone e ai suoi famigliari con l’auspicio che finalmente le indagini vadano a puntare i veri colpevoli (e noi siamo pronti a collaborare in tal senso).”