Criminologia investigativa e Scienze forensiCronaca e True Crime

Delitto di Garlasco: l’indagine prosegue tra nuovi reperti, vecchie intercettazioni e alibi da verificare

Pavia. Qualcuno inizia a definirla una telenovela. La nuova indagine sul delitto di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007, registra pressoché quotidianamente sviluppi in varie direzioni: dal punto di vista dell’indagine scientifica; da quello degli scenari investigativi trascurati all’epoca della prima inchiesta (che tornano invero a delinearsi con una certa insistenza); da quello delle valutazioni personologiche dell’attuale indagato, Andrea Sempio, amico del fratello minore della vittima, di cui si cerca di comprendere il coinvolgimento o meno nella vicenda valutandone affermazioni, atteggiamenti, posture, adottando in tal modo un lombrosismo di ritorno che probabilmente avrebbe fatto inorridire lo stesso Cesare Lombroso.

Una telenovela, dicevamo, ci è capitato di sentir definire il caso, che giornalmente irrompe nelle case degli italiani, attraverso i giornali, i social network, i confronti televisivi. Forse, più che una telenovela, retaggio di epoche che appaiono ormai lontanissime e ancora a misura di essere umano, siamo approdati a una forma frenetica e insensata di reality show interattivo. Oltre che a martellanti notizie su sviluppi, veri o presunti, del caso e ad altrettanto martellanti commenti sullo stesso da parte di esperti, autentici o autocertificati, dobbiamo anche rassegnarci ai commenti sui commenti. In modo direttamente proporzionale alla loro estraneità ai fatti e alle sottese problematiche criminologiche, investigative e giuridiche, i lettori-spettatori-utenti si sentono in dovere e in diritto di esprimere sferzanti valutazioni su ogni aspetto della vicenda e su chi ne parla. Forti dell’anonimato che ritengono garantito da Internet, com’è noto approdano spesso a pesantissime ingiurie e il loro operato non può che richiamare alla mente le parole di Umberto Eco sui pericoli della rete: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.”

Ciò detto, sperando di non ricadere a nostra volta nelle summenzionate, e fin troppo folte, legioni, ci addentreremo ancora negli sviluppi della vicenda, tentando di discernere – laddove possibile – la sostanza da ciò che Dante definiva “il troppo e il vano”.

Per un capello

Un capello lungo tre centimetri. È stato rinvenuto, nel corso dell’incidente probatorio del 19 giugno scorso, nella spazzatura sequestrata sulla scena del crimine all’epoca delle indagini sull’omicidio.

Il ritrovamento è avvenuto poco prima che un blackout oscurasse gli uffici della Questura di Milano in cui si stavano svolgendo le operazioni dell’incidente probatorio. Il capello si trovava all’interno del sacco azzurro della pattumiera di casa Poggi, insieme alle confezioni di yogurt “Fruttolo”, al recipiente di “Estathé” e alle altre tracce della colazione consumata la mattina dell’omicidio.

Inizialmente, si è ritenuto che il reperto fosse un pelo del gatto della famiglia, in seguito gli esperti lo avrebbero identificato appunto come un capello umano. Nei prossimi giorni verrà esaminato da Denise Albani e Domenico Marchigiani, i consulenti tecnici nominati dal Gip Daniela Garlaschelli.

Si auspica di poterne estrarre il Dna nucleare, che potrebbe consentire una identificazione univoca. In subordine, si tenterà l’estrazione del Dna mitocondriale, utile per individuare legami di parentela.

Riemergono, con l’incidente probatorio, altri reperti e tracce che all’epoca del delitto non sono stati presi in considerazione dagli investigatori o il cui esame non è stato sufficientemente approfondito. È il caso di una chiavetta Usb che le foto di allora mostrano sopra il telecomando dell’allarme della villa in cui si è consumato il delitto: quando e perché è stata spostata?

Si pensi inoltre alla presunta impronta digitale individuata sul telefono della cucina, sporco di sangue: il Ris di Parma aveva proceduto a rilevarla con il cianoacrilato, ma non è mai stata attribuita a qualcuno.

E vi sono tracce archiviate nel 2007 come “di nessuna utilità”: impronte digitali e palmari rivenute su mobili e pareti.

Attendiamo ora di sapere se il nuovo reperto possa essere ricondotto alla dinamica del delitto e al soggetto che lo ha commesso, il che ovviamente non è scontato.

E, nel frattempo, diamo conto di quanto ha considerato in proposito Dario Redaelli, il consulente della famiglia Poggi: “Nel nostro caso, questo capello trovato sembrerebbe avere il nucleo, seppur invecchiato rispetto alla sua condizione originale. Però sembrerebbe esserci un bulbo. Questo è quello che è parso un po’ a tutti guardando questo capello nell’incidente probatorio: sembrerebbe che si possa lavorare su Dna nucleare. Ovviamente l’attività verrà eseguita dai periti.”

Circa la possibilità che il capello in questione possa essere appartenuto a Chiara Poggi, l’esperto ha spiegato: “Il capello – se di capello si tratta perché al momento parliamo di formazione epilifera – aveva una lunghezza di tre centimetri e non risultava spezzato. Per cui non dovrebbe essere attribuibile a Chiara.”

Il reperto si trovava nella porzione esterna del sacchetto dei cereali, rinvenuto nella saletta in cui vi era il televisore acceso e dove Chiara Poggi stava facendo colazione, prima di subire l’aggressione omicida. “Quindi la valenza investigativa di questa formazione epilifera ancora non la sappiamo: è da valutare considerando il luogo di rinvenimento, in considerazione delle modalità con cui è stato repertato”, ha concluso Redaelli.

“Fatti gli affari tuoi”

“È un quaquaraquà, non è un uomo… sicuramente l’hanno minacciato… per via di quelle due ragazze lì, è sicuro… poi magari gli hanno dato anche dei soldi per stare zitto.” “E ma chissà che minacce gli hanno fatto però?”

Estratti da un dialogo telefonico risalente al 17 luglio 2022, tra Alfredo Sportiello, responsabile dell’A.S.M. di Vigevano, e l’ex maresciallo dei Carabinieri Francesco Marchetto. La relativa registrazione è stata diffusa dal quotidiano il Tempo. Il dialogo fa riferimento a Marco Muschitta, l’operaio le cui attività – all’epoca del delitto – erano gestite e coordinate proprio da Sportiello.

Muschitta è assurto agli onori della cronaca per aver rilasciato una dettagliata testimonianza su quanto avrebbe visto il giorno del delitto in via Pascoli, in prossimità dell’abitazione dei Poggi in cui questo è avvenuto, e per aver in seguito ritrattato le sue dichiarazioni, asserendo di essersi “inventato tutto”. Ma andiamo con ordine.

24 settembre 2007: nell’ambito delle indagini, viene disposto il fermo di Alberto Stasi, il fidanzato della vittima in seguito condannato in via definitiva per l’omicidio. Il giorno successivo, Marco Muschitta confida al padre e ai suoceri quanto avrebbe visto a ridosso del luogo in cui il crimine è stato commesso. Sembra poco propenso a recarsi dai Carabinieri. Viene infine convinto dal suo superiore, Alfredo Sportiello, che lo esorta anche a parlare con la dirigente amministrativa dell’azienda, Maria Lucianer.

27 settembre 2007: Muschitta viene ascoltato dai Carabinieri. Per oltre quattro ore. Sembra che, nel corso della sua deposizione, faccia riferimento a “una bicicletta che ho visto uscire da una via laterale a sinistra rispetto al mio senso di marcia, mi ha colpito perché non c’era nessun altro veicolo a quanto mi ricordo, perché non procedeva regolarmente ma andava leggermente a zig zag come se il conducente avesse qualcosa di ingombrante nella mano destra.” “A questo punto”, prosegue la deposizione, “ho guardato con attenzione e ho visto che a bordo di questa bicicletta c’era una ragazza con i capelli biondi a caschetto, con gli occhiali da sole a mascherina scuri come quelli che vanno di moda adesso. Questa ragazza aveva delle scarpe bianche con una stella blu.”  E, circa l’oggetto che la ragazza teneva in mano, sembrava trattarsi di un accessorio “tipo da camino grigio-canna di fucile, con in testa una pigna”. Muschitta crede di riconoscere, nella giovane, Stefania Cappa, una delle due sorelle cugine di Chiara Poggi.

Ancora: “Entrato in via Pascoli ho visto una macchina in sosta sulla sinistra, macchina di cui non ricordo il modello, di colore scuro (vale a dire nera, o grigio scuro o blu). Se non sbaglio la macchina era in sosta in un piccolo spiazzo che c’è sulla sinistra proprio per parcheggiare le auto. L’auto era parallela alla strada, mi sembra che il muso fosse rivolto verso via Pavia. L’auto era una media, non piccola né grossa. Non ho visto persone.”

A quanto risulta, il verbale della deposizione si interrompe per due volte, senza che ne venga specificato il motivo. E si conclude con la seguente, singolare dichiarazione del testimone: “Mi sono inventato tutto quello che vi ho raccontato perché sono uno stupido. Mi dispiace, non volevo farvi perdere tempo.”

Contemporaneamente, viene ascoltata anche la dirigente amministrativa dell’A.S.M. di Vigevano, Maria Lucianer, dal comandante dei carabinieri Gennaro Cassese.

Intercettazione acquisita all’indomani dell’interrogatorio, relativa a una conversazione telefonica tra Muschitta e suo padre:

Muschitta: “Ciao, papà.”

[…]

Padre: “Nel verbale, alla fine, cosa ci sarà scritto?”

Muschitta: “Che ho detto tutte… Tutto quello che ho scritto prima era una cosa inventata. E che comunque mi scusavo con loro per averli intralciati nel loro lavoro. E sono stato uno stupido e scusate ancora, bona.”

Padre: “Loro hanno fatto questo per proteggerti, lo sai?”

Muschitta: “Può darsi…”

Padre: “L’importante è che tu sia andato a dire quello che sapevi e che loro siano informati della cosa. Poi il loro lavoro sarà… Loro dovranno decidere se quella cosa lì è utile o non utile. Come ti ho detto all’inizio, non siamo noi che dobbiamo giudicare, valutare… Noi non prendiamo parte alla vicenda, non ce ne frega niente, la nostra vita è fatta da altre cose. Se non è utile, la butteranno nel cestino. Sì, sì, no, no, sono sicuro. Ma tu hai detto la verità, ne sei certo?”

Muschitta: “Io ho detto quello che ho visto.”

Padre: “Certo.”

Muschitta: “Quindi poi l’ho ripetuto, ho detto ‘io vi racconto quello che ho visto.’”

9 ottobre 2007: dichiarazioni a verbale di Alfredo Sportiello. Riferisce che, il 27 settembre, Muschitta gli avrebbe confidato che, la mattina del 13 agosto, aveva appunto visto quella ragazza in bicicletta e che la sera, vedendo Stasi sotto i riflettori, aveva esclamato: “Non è stato lui, io ho visto altro.” E la sua convivente gli aveva detto: “Fatti gli affari tuoi, altrimenti ti preparo la valigia e ti caccio via.” Sportinello consegna inoltre agli investigatori, che gli chiedono conto dei turni di lavoro di Muschitta, i fogli di servizio alle centrali, da cui risulta che l’operaio, all’ora e nel giorno indicato, si trovasse proprio nella via dove aveva raccontato di aver visto la ragazza bionda in bicicletta.

In ogni caso, Muschitta finisce sotto processo per calunnia contro Stefania Cappa. Viene prosciolto. Per gli inquirenti, continua a essere considerato inattendibile. A fronte delle sue circostanziate dichiarazioni e della documentazione della A.S.M. comprovante la sua presenza in prossimità del luogo del delitto, l’unica “prova” dell’inattendibilità di Muschitta, considera il Tempo, è appunto la ritrattazione. A cui Sportiello continua a non credere.

E questo ci riporta alla registrazione del dialogo, risalente al 2022, tra lui e l’ex comandante Marchetto, all’epoca del delitto propenso a esplorare, in sede investigativa, altri scenari oltre a quello che voleva Stasi colpevole ed estromesso dalle indagini.

Nella citata conversazione riproposta dal quotidiano romano, Marchetto e l’ex capo di Muschitta commentano l’inutile tentativo esperito dalla trasmissione Le iene di parlare con l’operaio.

Marchetto: “E non lo vuole dire… non vuol parlare.”

Sportiello: “È un quaquaraquà, non è un uomo.”

Marchetto: “E ma chissà che minacce gli han fatto però?”

Sportiello: “Sì ma lì è stato Cassese… la prima volta… Sicuramente l’han minacciato… per via di quelle due ragazze lì, è sicuro… poi magari gli han dato anche dei soldi per stare zitto…”

E, incalzato da Marchetto che cerca di comprendere se Muschitta si sia inventato o meno quanto ha asserito di aver visto, aggiunge: “E lui no ma va, quello che ha visto ha visto eh… lui quella mattina lì alle 9-9.30 ha visto… lui non se l’è inventata, ma figurati. Ha visto questa ragazza in giro con la bicicletta da donna, l’ha vista, lui non se l’è inventata eh. Come l’ha raccontata a me, io davanti alla direttrice gliel’ho raccontata a lei, la stessa identica cosa… perciò non è che uno può inventarsi che Franco è un finocchio, io non posso inventarmelo sapendo a cosa vado incontro… capisci?”

Così il Tempo e i giornali che hanno ripreso la notizia. Semplici pettegolezzi o elementi utili per l’indagine?

Non è mancato un commento, su Muschitta e le sue dichiarazioni, del giudice Stefano Vitelli, che ha assolto Alberto Stasi in primo grado nel 2009. Mowmag riporta quanto detto dal magistrato nel corso della trasmissione Far West, in onda su Rai2: a suo parere, Muschitta sarebbe “un testimone del tutto anomalo, prima dice delle cose, poi le ritratta.” All’epoca, la difesa di Stasi aveva rimarcato proprio quanto emerso dalla conversazione dell’uomo con il padre, ma il magistrato aveva giudicato la testimonianza più “probabilmente inattendibile”. Lo stesso Vitelli ha però convenuto che – se ritenuta credibile – la deposizione di Muschitta avrebbe legittimato “un altro tipo di storia”, attestando ovviamente la presenza di un’altra persona sul luogo del delitto in un orario compatibile con quello dell’omicidio.

“Il materiale istruttorio presentava diverse lacune”

Nel corso della medesima trasmissione, il giudice Vitelli ha espresso una valutazione anche su un altro aspetto delle indagini sul caso. Torniamo per un momento alla scena del crimine, segnatamente nel bagno in cui è stato rinvenuto un dispenser di sapone recante l’impronta di Alberto Stasi.

“Sul dispenser del sapone in bagno vi era una impronta di Stasi e questo è indubbio”, ha considerato il magistrato, “ma non vi era traccia di sangue né sul lavandino, né sul dispenser né sul sifone, non è irragionevole pensare che quell’impronta non era di Stasi assassino, ma di Stasi che si è mangiato la pizza la sera prima e si è lavato le mani.”

“Il materiale istruttorio presentava diverse lacune che provai ad integrare ed approfondire,” ha proseguito. Tra i punti centrali dell’accusa, il presunto falso alibi fornito da Stasi per l’ora del delitto: il giovane aveva detto di trovarsi a casa impegnato a lavorare, al computer, alla tesi di laurea. Secondo la Procura, nel pc non sarebbero risultate tracce del relativo file. “Ma il risultato della perizia risultò che quello che Alberto Stasi aveva detto non era una bugia”, ha tra l’altro ribadito Vitelli.

E, a proposito della sentenza della Cassazione, che ha annullato l’assoluzione, condannando Stasi a sedici anni di carcere, Vitelli non ha espresso commenti: “Sulla Cassazione non rispondo. Posso semplicemente dire: rispettiamo il giudicato di Stasi come è giusto che sia, ma rispettiamo anche questa indagine.”

Ancora intercettazioni

12 febbraio 2008, conversazione telefonica – intercettata – tra Maria Rosa Poggi, madre delle gemelle Paola e Stefania Cappa, cugine di Chiara Poggi, e la sorella Carla. Anche questa volta, l’ha diffusa il quotidiano il Tempo. Le due parlano del colloquio che la prima ha avuto con la Pm Rosa Muscio, titolare dell’inchiesta sull’omicidio. In particolare, si soffermano sull’orario del delitto.

Maria Rosa Poggi: “Carla! Dodici ore sono stata là… dalle 11,30 della mattina, siamo andate tutte e tre… [la madre e le figlie, ndr], ognuna quattro ore.”

[…]

Carla: “Ma tu non avevi tutti gli scontrini di tutto quello che avevi fatto?”

Maria Rosa Poggi: “Ma sì, ma Carla cosa vuol dire?… Lei doveva essere sicura al cento per cento… mi ha chiesto come ero vestita la mattina, la sera, a che ora sono uscita la mattina… io non ho niente da nascondere…”

Carla: “E le figlie? Anche loro per cosa?”

Maria Rosa Poggi: “Eh, sempre per la storia della mattina, il tutore… [Paola lo indossava alla gamba perché reduce di un intervento successivo a una caduta dalla bicicletta, ndr] anche a me hanno chiesto del tutore, dove arrivava? E se poteva toglierselo.”

[…]

Carla: “Comunque non è che hai fatto delle cose che ti debba rinviare a giudizio per qualcosa?”

Maria Rosa Poggi: “Ma non credo proprio! Perché altrimenti lo avrebbe fatto subito dall’inizio eh… mi ha detto: ‘Chi è questo numero di telefono? Chi è quest’altro?’… Poi mi è venuto in mente tutto… mi credi che mi sento la spada di Damocle sul collo… per questi qua… [la difesa di Stasi, ndr] ma poi sai anche a distanza di mesi io non mi ricordavo neanche più che ero andata in posta per esempio… poi sono andata anche dal dottore! Gliel’ho detto, ho le fotocopie delle ricette… e sono arrivata a casa che erano le undici e mezza passate.”

Carla: “Ma a loro fa tanto comodo spostare l’orario di quando è morta Chiara! Perché se Chiara è morta alle 9,30-10, ci siete dentro voi altri, ammesso! Che poi la Paola… la Stefania era al telefono e tu… a fare le commissioni. E invece se metti l’orario più tardi, lui è dentro in pieno!”

L’ora della morte di Chiara, diversamente collocata nel corso del procedimento, era stata “fissata” con precisione da Stefania Cappa in un dialogo con Alberto Stasi, filmato presso la caserma dei Carabinieri impegnati nell’indagine sul caso, proprio a ridosso dell’omicidio. Nel corso della conversazione, la gemella aveva prospettato la possibilità che Chiara fosse rimasta vittima di un tentativo di rapina. Stasi aveva considerato: “Secondo me qualcuno è entrato lì dentro e lei si è spaventata.” E lei: “Ma alle nove e mezza?!”

La stessa Stefania Cappa, il 9 febbraio 2008, ha parlato al telefono, con una sua amica, dell’indagine e della sua interazione con la Pm incaricata del caso: “Per me è uno schifo… ma va guarda Ceci sto proprio di merda… cioè io comunque in questo mesi ho tentato un po’ di rifarmi la mia vita diii… un po’ di tutto. L’altro giorno ancora mi sono venuti a prendere, mi hanno interrogata ancora… io sono stanca.” Ha precisato che in quella circostanza, “non mi hanno interrogata i Carabinieri… mi ha interrogata la Rosa Muscio… il Pm, e quando sono entrata mi ha fatto la sua bella ramanzina… che se dichiaravo il falso, il falso sarà usato contro di me al processo e tutte ste cose qua… prima di iniziare l’interrogatorio. Quindi non era più acquisizione sommaria di elementi, qualora un interrogatorio vero e proprio, di fronte ad un uditore giudiziario, la Muscio, e due testimoni.”

Intercettazione dell’11 febbraio 2008, sfogo di Stefania Cappa, al telefono con un amico: “Lei addirittura (la Pm Muscio, ndr)… a dover dire la verità perché se dichiara il falso sarà usato contro di lei al processo, ma va a fanculo va! Le volevo dire ma mettiti un dito nel culo! Che ora che fai qui… che fai il processo io sono già espatriata in America e non mi vedi neanche, deficiente!”

L’amico: “Ma tanto è provato che tu non c’entri un cazzo di niente.”

Stefania: “No, ma al di là di quello, magari mi faceva delle domande e io non mi ricordavo… e allora andavo un po’ a logica, eh ma non vada a logica.”

Un alibi traballante?

Sembra poi che emergano dubbi su dove si trovasse il fratello di Chiara Poggi, Marco, al momento del delitto. Il settimanale Giallo ha raccolto la dichiarazione del gestore dell’albergo di Falzes, in provincia di Bolzano, in cui, secondo quanto sostenuto dai Poggi fin dall’inizio, tutta la famiglia, tranne Chiara, si trovava in vacanza all’epoca del delitto.

“Marco Poggi non era in albergo con i suoi genitori”, ha affermato con sicurezza il gestore della struttura. “Ricordo bene quei giorni”, ha spiegato, “i coniugi Poggi occupavano una camera matrimoniale, ma il figlio Marco non era con loro. E nemmeno i Biasibetti [la famiglia, il cui figlio, Alessandro, oggi frate, era amico di Marco, ndr]. È una cosa che non potrei dimenticare, perché conoscevo bene la famiglia.”

A quanto riporta Giallo, nessun investigatore avrebbe mai ritenuto di interrogare l’albergatore per verificare l’effettiva presenza in loco del fratello della vittima.

Il gestore ha ricordato anche il momento in cui i genitori di Chiara sono stati informati del delitto e hanno precipitosamente lasciato l’albergo per fare ritorno a Garlasco. Anche in quella circostanza, a suo dire, nessuna traccia di Marco.

Ricostruzione dei fatti che i portavoce della famiglia Cappa hanno prontamente definito una “fantasia”, dettata da una “volontà di vendere falsi scoop sulla pelle delle persone coinvolte.” “Dispiace che la Procura di Pavia non abbia sinora sentito il bisogno di intervenire nemmeno di fronte alle innumerevoli falsità che leggiamo ogni giorno, su iniziativa di soggetti privi di qualsiasi scrupolo”, si legge in una nota congiunta degli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, che rappresentato i genitori e il fratello della vittima.

Il Dna di Chiara e Alberto

Concludiamo l’odierno excursus sul delitto di Garlasco come lo abbiamo iniziato: con un riferimento alle analisi condotte sui reperti esaminati in sede di incidente probatorio. Secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, emergerebbero i primi risultati degli esami condotti sulla spazzatura di casa Poggi risalente al giorno del delitto. In particolare, il materiale biologico raccolto sul piattino di plastica, sul piccolo sacchetto azzurro dell’immondizia e sulle linguette dei due barattoli di yogurt “Fruttolo”, risulterebbe riconducibile a Chiara, come quello presente sul sacchetto con i cereali avanzati, su cui è stato anche trovato il menzionato capello (o pelo) di tre centimetri.

L’unico profilo maschile individuato in sede di analisi apparterrebbe invece ad Alberto Stasi: suo il Dna raccolto sulla cannuccia di plastica del brick di “Estathé”. Del resto, il giovane aveva cenato a casa di Chiara la sera prima del delitto e ha sempre riferito di aver bevuto, nella circostanza, proprio l’“Estathé”.

Anticipando tali risultati, l’avvocato Antonio De Rensis, difensore di Stasi, ha dichiarato tra l’altro alla trasmissione Zona Bianca, in onda su Rete 4: con “tutti i condizionali possibili e immaginabili, diciamo che relativamente alla spazzatura potrebbero esserci delle indicazioni che, lette nel modo giusto, sono interessanti.”

“Questo vuol dire”, ha aggiunto, “che tutti coloro i quali hanno fatto analisi parascientifiche, e che dicevano che sulla spazzatura non c’era nulla, potrebbero aver detto cose inesatte e vuol dire anche che questo, come tutti gli altri accertamenti in corso come quelli sulle ‘para-adesive’ delle impronte, potrebbero aiutarci a riscrivere la storia di quella mattina.” Ci associamo all’auspicio che la vicenda venga esaminata, scandagliata e possibilmente chiarita non attraverso analisi “parascientifiche” e pseudo-investigative, ma da investigatori, criminalisti e criminologi esperti, capaci tra l’altro di non lasciarsi distrarre dall’incessante chiacchiericcio che accompagna immancabilmente ogni sviluppo dell’inchiesta.

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