CriminologiaCriminologia investigativa e Scienze forensi

Tra suggestioni letterarie, criminologia e filosofia della scienza: la prospettiva del criminal profiler

“Il bisogno di comprendere quale sia il motore della violenza, quale l’assetto personologico che la sottende, ha prodotto vastissima letteratura e rappresenta uno dei principali campi di studio della criminologia.”[1]

Così si legge nelle prime pagine di un autorevole contributo sul criminal profiling, peculiare approccio investigativo che, com’è noto, tenta di elaborare un identikit comportamentale, psicologico e socioculturale dell’autore di un crimine basandosi sull’analisi dettagliata della scena in cui il fatto si è consumato. Il profiling scaturisce, dunque, da quella tipologia di ragionamento logico che Charles S. Peirce chiama abduttivo e che si può definire come “la capacità di avanzare ipotesi plausibili, istanze probabili e suppone uno stato di cose antecedente non osservabile, che spiega uno stato di cose presente osservabile […].”[2]

La letteratura ci fornisce significative e suggestive rappresentazioni del ragionamento abduttivo. Famoso, ad es., il passo dello Zadig di Voltaire, nel quale il protagonista dimostra la propria abilità nel risalire dal noto all’ignoto: “Ho visto sulla sabbia le impronte di un animale, e ho capito facilmente che erano le impronte di un piccolo cane. Dai solchi lunghi e leggeri impressi sui minimi rilievi della sabbia, fra le orme delle zampe, ho capito che si trattava di una cagna con le mammelle penzolanti per aver figliato da pochi giorni. Altri segni tracciati in senso diverso sulla superficie sabbiosa, ma lateralmente alle orme delle zampe anteriori, mi hanno fatto capire che la cagna aveva orecchie molto lunghe; e poiché una delle orme delle zampe risultava più lieve delle altre, ho capito che la cagna zoppicava un poco.”[3]

Altrettanto celebre è la rappresentazione del ragionamento abduttivo contenuta ne I delitti della Rue Morgue e ne Il mistero di Maria Roget, di Edgar Allan Poe, opere ai nostri fini significative perché, oltre ad aver orientato la prospettiva logica in esame verso l’investigazione criminale, hanno rappresentato lo spunto cui Arthur Conan Doyle si sarebbe in seguito ispirato nel delineare alcuni tratti del suo Sherlock Holmes e il metodo analitico cui questi ricorre nello studio del delitto. Se Auguste Dupin, il protagonista dei richiamati racconti di Poe, appare come un eccentrico filosofo imprestato, per così dire, alle indagini criminali, il consulting detective dell’Autore scozzese, oltre a essere un teorico dell’investigazione, è uno scienziato che applica a scopi professionali le sue spiccate attitudini all’analisi inferenziale. Non è, probabilmente, un caso se il metodo di Sherlock Holmes abbia esercitato “da sempre una profonda influenza sulle scienze forensi, in particolare relativamente alle modalità di ricostruzione dell’evento criminoso e all’elaborazione del profilo criminale di chi lo ha commesso.”[4]

Il detective di Conan Doyle esemplifica mirabilmente il proprio approccio analitico in un passaggio – comprensibilmente assai citato – di Uno studio in rosso (1887): “Se voi descrivete una serie di avvenimenti a un gruppo di persone, più o meno tutti si sentiranno di predirvi eventuali conseguenze. Sono tutti in grado di mettere insieme mentalmente le circostanze e di arguirne quel che accadrà in seguito. Ma pochi, venendo a conoscere un certo risultato, si sentiranno grazie alle proprie intime risorse di dedurne le circostanze passate che lo hanno provocato. Alludo a queste facoltà quando parlo di un ragionamento a ritroso o analitico.”[5]

Una simile riflessione non è soltanto l’efficace premessa cui, nel romanzo, seguirà la spiegazione dell’iter logico attraverso il quale il protagonista è giunto a ricostruire la dinamica dell’evento criminoso posto alla sua attenzione e ad individuarne il responsabile. Essa contiene il germe della prospettiva analitica del criminal profiling, come abbiamo visto necessariamente declinata secondo la dinamica cognitiva dell’abduzione, ovvero dell’esame di un effetto per risalire alla causa che lo ha determinato. Per il profiler, evidentemente, l’effetto è costituito dal locus commissi delicti e la causa dai tratti comportamentali del soggetto sconosciuto che ha agito.

“Il crimine”, considerano Palermo e Mastronardi, “è spesso un evento interpersonale doloso o colposo che avviene in un dato ambiente. Ed è proprio la scena del crimine che assume grande importanza per l’investigatore e/o chi compone il profilo, il profiler, il quale tenta di ricostruire la meccanica e le dinamiche dell’evento criminoso e, attraverso le sue osservazioni, la tipologia sia della vittima che del carnefice.”[6]

In tal senso, il profiling ha sempre, necessariamente, costituito un momento indispensabile dell’investigazione criminale, anche prima che intervenissero studi specificamente tesi a definirlo, a esplicitarlo, a codificarlo ed a renderlo un vero e proprio protocollo operativo. Sono noti, ad es., il profilo psicopatologico di Jack lo Squartatore elaborato, nel 1888, da Thomas Bond, medico legale consulente della polizia londinese; l’analisi che, nel 1932, Dudley Shoenfeld effettuò sulle lettere inviate dal rapitore del figlio dell’aviatore Charles Lindbergh; le valutazioni che lo psichiatra James Brussel propose sugli attentati di Mad Bomber (1956) e sugli omicidi dello Strangolatore di Boston (1964)[7]. Non è possibile esaminare queste e altre analisi comportamentali senza percepire l’immanenza dell’approccio analitico holmesiano.

Nel 1972, presso l’F.B.I., Howard Teten, Patrick Mullany e Jack Kirsch diedero vita alla Behavioral Science Unit (B.S.U.)[8], tra le cui finalità rientrava proprio quella di studiare la possibile correlazione tra le caratteristiche della scena del crimine e le peculiarità del criminale[9]. Dunque, verrebbe da dire, con lo scopo di verificare la possibilità di impiegare concretamente, a fini investigativi, un significativo aspetto del metodo analitico di Sherlock Holmes.

Tra i criminologi impegnati presso la B.S.U. non possiamo non ricordare almeno John Douglas, Robert Ressler, Roy Hazelwood, Tony Rider e Kenneth Lanning. “Partiamo dal principio che il comportamento sia lo specchio della personalità”, spiega proprio John Douglas, “e suddividiamo il processo di elaborazione di un profilo criminale in sette fasi distinte: 1) valutazione del delitto; 2) valutazione globale degli elementi specifici della scena o delle scene del delitto; 3) analisi globale della vittima o delle vittime; 4) esame dei primi rapporti della polizia; 5) esame della relazione autoptica effettuata dal medico legale; 6) sviluppo di un profilo con le caratteristiche tipiche dell’Autore del reato; 7) orientamenti investigativi suggeriti dall’interpretazione del profilo.”[10]

Non sembra forse, questa, l’esplicitazione programmatica delle modalità attraverso cui il consulting detective di Baker Street procede all’esame di un problema? Un metodo di analisi, il criminal profiling, che sembra quindi scaturire da una sintesi di suggestioni letterarie, studi criminologici e filosofia della scienza e che dovrebbe assolvere alla finalità di orientare utilmente il lavoro degli investigatori. E ciò, con riferimento non solo ai delitti seriali a connotazione maniacale, come la rappresentazione mediatica di tale attività potrebbe talvolta indurre a credere, ma in generale – questo è l’auspicio – a ogni tipologia di crimine violento.


[1] Picozzi M., Zappalà A., Criminal profiling. Dall’analisi della scena del delitto al profilo psicologico del criminale, McGraw-Hill, Milano, 2002, p. XIV.

[2] Manganelli A., Gabrielli F., Investigare. Manuale pratico delle tecniche di indagine, Giuffré, Milano, 2007, pp. 5-6.

[3] Voltaire in Benvenuti S., Rizzoni G., Il romanzo giallo. Storia, Autori e personaggi, Mondadori, Milano, 1979, p. 12.

[4] Turvey B.E., Criminal profiling. An Introduction to Behavioral Evidence Analysis, Academic Press, Oxford, 2012, p. 22 (traduzione mia).

[5] Doyle A.C., L’infallibile Sherlock Holmes, Mondadori, Milano, 1987 [a], p. 95.

[6] Palermo G.B., Mastronardi V.M., Il profilo criminologico. Dalla scena del crimine ai profili socio-psicologici, Giuffré, Milano, 2005, p. 48.

[7] Sulle origini del profiling, cfr., tra i numerosi contributi disponibili: Picozzi M., Zappalà A., op. cit.; Agostinis S., Lineamenti di storia delle scienze forensi, Aras, Fano, 2007; Marrone L., Delitti al microscopio. L’evoluzione storica delle scienze forensi, Gangemi, Roma, 2014.

[8] Attualmente Behavioral Analysis Unit.

[9] Cfr., tra gli altri, Russo F., Lineamenti di psicologia criminale e investigativa. Il criminal profiling per l’analisi dei crimini seriali violenti, Celid, Torino, 2010, p. 17.

[10] Douglas J., Caccia nelle tenebre, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 17-18.

Fonte immagine: https://www.imdb.com/title/tt4259236/mediaviewer/rm2909797888/?ref_=tt_md_3

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